Usciva un giorno col cappellino messo di sbieco, un altro col cappotto sbottonato o con gli stivaletti da casa, camminava a passi troppo lunghi, si lasciava sfuggir delle note di voce maschile che facevano voltar la gente stupita, e pronunciava un'erre quadruplicata che dava lo stridore d'una raganella. Ma invano. Tutti questi difetti e anche il nasino non finito scomparivano nella bellezza poderosa e trionfante del suo corpo giovanile di guerriera.
Avevano, lei e la Zibelli, una donna di servizio fra tutt'e due, e una stanza che serviva di salotto comune. Da una parte del salotto c'era la camera della Pedani, dall'altra quella della sua amica, diversissime fra loro, come le indoli delle due persone. Quella della Zibelli era tenuta con molt'ordine, ornata di quadretti a pastello dipinti da lei in altri tempi, e d'una profusione di lavori d'uncinetto e di traforo, di fiori finti di carta e di cuoio, di paralumi, di guernizioni e di ninnoli, fatti pure dalla sua mano; fra cui vari scaffalini coperti di tendine ricamate, nei quali eran mescolati ai libri scolastici molti romanzi francesi; poiché, secondo le lune, essa si chiudeva rigidamente nella scuola e nella pedagogia, come in un chiostro intellettuale, per dimenticare il mondo e le sue tentazioni, o si buttava con tutta l'anima alle letture di fantasia. Nella camera della Pedani, all'opposto, c'era sempre l'arruffio d'un magazzino di rigattiere: vestiti gettati qua e là; delle bluse da ginnastica, di rigatino oscuro, appese a dei chiodi; in un canto un bastone Iäger, due paia di manubri sotto il letto, degli zoccoli da esercizio a piè dell'armadio, e sparpagliati un po' da per tutto numeri del "Nuovo Agone", del "Campo di Marte", della "Palestra di Padova", del "Gymnaste Belge" e d'altri giornali della stessa famiglia.
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