Uscirono tutti e tre, e saliron lentamente le scale quasi oscure. L'ingegnere seguitò a dir barzellette, e il segretario, con suo gran dolore, non trovò una parola da dire. Andò su a fatica, soffermandosi quando il Ginoni e la maestra si soffermavano, e restando un po'indietro ogni tanto per divorare con gli occhi quella bella persona, e quasi per cavare una risposta dalle sue forme, o per pugnalar con lo sguardo la schiena del suo aguzzino. Quando furono davanti all'uscio, dove non arrivava la luce del gas, l'ingegnere accese un fiammifero, la maestra tirò il campanello. Il segretario stette pronto per cogliere e interpretare lo sguardo del saluto; e infatti, rientrando, essa lo guardò.
Ma, ohimè! lo sguardo non disse nulla. E nel punto stesso che si spegneva il fiammifero, si spense la sua speranza.
L'ingegnere indovinò dal suo silenzio la tristezza di una delusione e, fatto più libero dall'oscurità, gli disse a bruciapelo: - Segretario caro, lei è innamorato della maestra.
Il segretario scattò, negò, si stizzí, si mostrò maravigliato e offeso di quello scherzo.
- E perché mai? - domandò il Ginoni, tra il serio e il faceto. - Sarebbe forse un disonore, quando fosse? È una bella e onesta ragazza, e originalissima, non della solita stampa. Perché non mi dice la verità? Sono suo buon amico, e le potrei dare dei buoni consigli. Sono un gentiluomo e rispetto gli affetti.
Don Celzani stette un po'in silenzio, nel buio; poi rispose con voce commossa: - Ebbene..., è vero.
- Alla buon'ora, - disse l'ingegnere, - e viva la sincerità. Intanto lei ha avuto una delusione, si capisce.
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Ginoni Ginoni Celzani
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