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      Quando suo nipote ebbe finito, si guardò prima le unghie nitidissime e poi le pantofole ricamate, e mormorò qualche parola vaga che non era un consentimento esplicito, ma nemmeno una disapprovazione. Voleva dire soltanto che si doveva procedere con cautela. Senza dubbio, la signorina ispirava simpatia e aveva tutto l'aspetto e il contegno d'una persona degna di stima. Ma (e questa era la meta del suo giro di frasi) prima di fare un passo, egli credeva conveniente di procedere alla ricerca d'altre informazioni. E mentre il nipote lo guardava in aria interrogativa ed inquieta, egli, masticando le parole e guardando per aria, buttò là il consiglio di ricorrere al suo amico cavalier Pruzzi, direttore generale delle scuole municipali, il quale, certo, doveva essere al caso di dare dei ragguagli minuti e sicuri intorno a qualunque "soggetto" del personale insegnante. E il consiglio parve eccellente a don Celzani. Il commendatore contò sulle dita, e gli fissò il sabato successivo come il giorno più opportuno: gli sarebbe bastato per presentarsi un suo biglietto di visita. Il cavalier Pruzzi era un uomo, del quale si poteva esser certi che, qualunque resultamento avesse avuto l'affare, avrebbe mantenuto il segreto con la delicatezza più scrupolosa. Detto questo, come se si fosse trattato d'una cosa di secondaria importanza, passò a un altro discorso.
      La grande contentezza che ebbe don Celzani di quel mezzo consenso fu profondamente amareggiata nei giorni seguenti dal ridestarsi dei tristi sospetti che gli aveva messo in cuore la signora Fassi; i quali ingrandirono man mano e si fecero cosí terribili nella sua immaginazione, che, il giorno fissato, egli salí le scale interminabili del Palazzo di Città con l'animo di un malato che va dal medico a udire la sua sentenza di morte.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





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