Don Celzani non disse né sí né no; ma la sera aveva già comprato e rimesso la fotografia alla donna di servizio delle maestre. Egli sperava ben poca cosa da quell'atto. Nondimeno, aspettò la mattina dopo la Pedani, non foss'altro che per ricevere un freddo ringraziamento. Essa discendeva con la Zibelli. Questa, vedendo lui, tirò dritto senza salutare. La Pedani si fermò, e gli disse con vivacità insolita, facendogli il più bel sorriso ch'ei le avesse mai visto: - Ah! Signor segretario, com'è stato gentile! Come ha fatto a indovinare il mio desiderio?.
Don Celzani gongolò.
E la maestra gli disse ancora allegramente, andandosene: - Non so come sdebitarmi. Mi comandi, se la posso servire in qualche cosa.
Ah! barbara! Ma don Celzani andò al terzo cielo, e, beato, allucinato, parendogli d'aver fatto un passo gigantesco, giudicò venuto il buon momento. Zio o non zio, informazioni o non informazioni, egli non ci poteva più reggere, doveva far la sua domanda formale al più presto, fin che il ferro era caldo. Solamente era in dubbio se la dovesse fare a voce o per iscritto, e tenne in sospeso la decisione. Frattanto, si mise a elaborare con profonda cura la formola, di cui si sarebbe servito nei due casi... Ma mentre la stava elaborando, fu prevenuto.
Da vari giorni la Zibelli aveva rifatto la pace con l'amica, ed era seguito nella sua vita un mutamento nuovo. Aveva trovato un giorno sotto il portone un giovane maestro di ginnastica, ex sergente del Genio biondo e elegante, ch'essa aveva sentito parlare una volta con molto garbo a un'adunanza della Società della Cassa degl'insegnanti.
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