Io già mi sono spiegato. Lei conosce il mio sentimento. Mai, mai fu leggerezza, fin dal primo giorno. Mai. Sempre ho coltivato quel pensiero. Giammai nella mia coscienza, se ho ardito, Dio m'é testimonio, la più pura intenzione, il più sacrosanto scopo, l'affezione di tutta la vita, se anche non l'ho scritto, eccomi a dirlo, signorina. La sua mano!... Forse non è il modo; ma parlo a un'anima bella. Il frutto è maturo. Meditai. È un galantuomo che parla. Concorde è lo zio. Creda a questo cuore. Non è più vita la mia. Non domando che la sua mano. Una sola parola! Pronuncia la mia sentenza.
("Pronuncia" fu un lapsus linguae).
Detto questo, ansando, piantò gli occhi dilatati in viso alla maestra, con un'espressione quasi di terrore. La maestra, che aveva sorriso alle prime parole e ascoltato con serietà le ultime, corrugò la fronte quando egli ebbe finito, suffusa d'un leggero rossore, che sparve subito. Poi, fissando lo sguardo sopra un almanacco appeso alla parete, con una intonazione naturalissima che faceva un curioso contrasto a quella del segretario, e con una voce che, abbassandosi, diventava baritonale: - Veda, signor segretario, - rispose, - Io non so trovar giri di parole per dir certe cose... come si dovrebbero dire. Dico franco il mio pensiero. Lei perdonerà. Non ho che a ringraziarla delle sue buone intenzioni. Anzi, mi tengo onorata. Ma...se avessi avuto un'idea, l'avrei manifestata subito, dopo la sua lettera, perché avevo capito quel che c'era sottinteso. Le dico che mi tengo onorata, sinceramente.
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Dio
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