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      E si frenava ancora in sua presenza; ma non più quand'era passata: si metteva allora una mano sulla bocca, guardandola di dietro, e soffocava a quel modo il grido dell'amore e del desiderio, che usciva in un sospiro lamentevole e sordo. E non osava quasi più, come altre volte, fermar 1'immaginazione sulla felicità d'un possedimento intero, poiché, tolto appena l'ultimo velo al suo idolo vivo, gli si apriva alla mente un tale abisso luminoso di voluttà, ch'ei ne rifuggiva di volo per terrore della pazzia. E allora, per quietarsi, ricorreva ai pensieri dell'affetto, immaginava la casa nuova di sposo, disponeva i mobili, si rappresentava delle scene affettuose, vedeva una culla bianca... Ma la passione lo assaliva subito anche in quel rifugio: egli vedeva un'altra culla, dieci, venti, un popolo uscito dal suo amplesso, e non gli bastava ancora, e si tormentava ancora la fantasia su quella persona che gli rimaneva sempre davanti, fresca e potente, come l'immagine della giovinezza immortale e della voluttà eterna. E questo ardore cresceva di giorno in giorno nella familiarità amichevole ch'ella gli veniva rendendo, credendolo rassegnato al suo rifiuto. La giornata intera non gli bastava più a quella varia e vertiginosa successione di fantasticherie, di corse all'abbaino, di conversazioni di cinque minuti guadagnate con mezz'ora d'attesa, d'impeti improvvisi e solitari di tenerezza e d'angoscia, nei quali soffriva e godeva quasi di soffrire. La sua mente rifuggiva dal lavoro, la sua memoria s'offuscava per tutti i suoi affari, la sua vita si disordinava, la sua salute stessa s'andava alte


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133