Aveva già messo gli occhi sopra un altro.
Detto questo, e avvisatolo che voleva desinar solo, lo piantò.
E allora egli cadde nell'ultima disperazione, la quale non lasciò più che un dubbio nella sua mente sconvolta: se dovesse partir per Genova e imbarcarsi per l'America, o rimanere a Torino e profondere il suo piccolo patrimonio in bagordi e pazzie, per istupidirsi e dimenticare. In ogni modo, se ne doveva andar subito da quella casa, dove la vita non era più tollerabile. In silenzio, apparecchiò le sue robe fino a notte inoltrata. Poi si buttò vestito sul letto. Ma non potè dormire. Acceso dalla febbre, tese l'orecchio per l'ultima volta ai rumori usati. E quella notte i rumori furon continui. Il tanto aspettato Congresso dei maestri s'era aperto da una settimana: il giorno dopo era appunto quello fissato per la discussione del quesito della ginnastica, sul quale la Pedani doveva pronunciare il suo discorso: essa era agitata, scendeva da letto a ogni poco, vi risaliva, tornava a scendere, girava per la camera. Egli sentiva i suoi piedi nudi. E fu quella per lui una tortura dei sensi atrocissima; ma sopraffatta da un grande sentimento di tenerezza, da un rammarico profondo di dover abbandonar per sempre quella camera, di non aver a udir mai più quei rumori familiari al suo orecchio, che egli amava oramai, perché gli ricordavano tante notti insonni, tanti desideri, tante fantasie, tante tristezze, e che non avrebbe mai più dimenticato, n'era certo. Riandò nella mente il passato, si levò ritto sul letto per sentir meglio i suoi passi e i suoi sospiri, la invocò, le parlò, pianse, si morse i pugni, passò una notte di condannato a morte.
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