Eppure non si prestava allo scherzo il raffronto, poiché faceva pensare che il Parlamento italiano si trovava allora molto lontano, in una cittą dove pochi anni prima sarebbe parso un sogno a chi sedeva lą, ch'ei si potesse trovare pochi anni dopo. Sopra quegli scanni dove i torinesi avevan visto biancheggiar delle canizie venerande e dei crani spelati di legislatori, si rizzavano da tutte le parti penne e fiori di cappellini di maestre, disposte in file o in gruppi, da cui s'alzava un cinguettio di nidi di passere. Al posto di Garibaldi sedeva un vecchio maestro di campagna col gozzo. Sullo scanno del conte Cavour si dondolava un giovanotto imberbe, con un garofano all'occhiello. La presidenza era tenuta da un grosso maestro prete, napoletano. Si riconosceva a primo aspetto, dalla varietą dei visi, che quello non era un congresso regionale, ma formato di maestri d'ogni provincia d'Italia; fra i quali predominavan le capigliature e le carnagioni brune delle terre meridionali. Sui banchi alti c'era un gran numero di signorine variamente vestite: maestre patentate, ma senza impiego, intervenute come spettatrici, per curiositą, molte con dei fogli davanti e con la penna in mano per pigliar degli appunti, e in mezzo a loro dei ragazzi e delle ragazzine, loro fratelli e sorelle. Due alti uscieri col panciotto giallo e le calze bianche giravano per l'aula. Le tribune erano affollate d'altri insegnanti e di parenti dei congressisti, e si vedevano nelle prime file alcune delle pił illustri autoritą ginnastiche di Torino, dei professori, dei medici, dei rappresentanti di giornali.
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