- Un maestro richiamò l'attenzione del Congresso sulla opportunità di riformare il linguaggio non abbastanza italiano del regolamento di ginnastica, esponendo il parere che si proponessero certi quesiti all'Accademia della Crusca. Don Celzani credeva che il maestro Fassi avrebbe parlato; e infatti egli s'agitava, approvava e disapprovava violentemente, gridando: - No! - Mai! - Questa è grossa! - Un po' di buon senso! - ma non domandò la parola. Un maestro di ginnastica dimostrò la necessità di migliorare le condizioni dei suoi colleghi, ch'erano pagati dal Governo, ma senz'aver alcuno dei diritti degli altri impiegati, che si trovavano in uno stato precario, sottoposti all'arbitrio dei presidi di liceo e di ginnasio, i quali aprivano il corso in ritardo, non li ammettevano, come sarebbe stato giusto, nelle Commissioni per le esenzioni, concesse quasi sempre a capriccio, e non li spalleggiavano nella disciplina. Quindi la discussione s'imbrogliò e s'infiammò da capo in una controversia di metodo, nella quale si udirono accenti di tutte le parti d'Italia. Il segretario cominciava a temere che la Pedani non avrebbe più parlato, e si preparava con grande amarezza a rinunciare a quell'ultima voluttà di sentir la sua voce, di vedere applaudito e onorato il suo idolo, di portar via la propria disperazione quasi dorata dal raggio di quella gloria. Ogni nuovo maestro che parlava, gli premeva che finisse, gli pareva che prolungasse apposta il suo supplizio, ed egli ne contava le parole fremendo.
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