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      Dio l'avrebbe guidato. Purché andasse lontano, a soffocare la sua passione in una dura vita di lavoro, a dimenticare, se fosse stato possibile, o, se non altro, a soffrir meno. Poiché, veramente, alla disperata vita cui era ridotto non gli bastavan più le forze dell'anima. E dopo quel trionfo, egli si sentiva più miseramente, e per cosí dire, più bassamente infelice che non fosse stato mai, poiché non aveva sentito per l'addietro che la differenza esteriore ch'era fra lei e lui; ma la riconosceva ora troppo superiore a sè anche per lo spirito: ella non aveva soltanto innalzato sé stessa alla gloria, aveva precipitato lui nella polvere. La vedeva tra pochi anni celebre, cercata da tutti, amata, sposata forse da un uomo bello, illustre e potente. Gli pareva allora un'insensatezza ridicola quella di aver osato di chiederle la mano, d'importunarla, d'inginocchiarsi davanti a lei e d'abbracciarle i ginocchi. E questo ricordo appunto, la sensazione che gli si ridestava di quell'abbraccio gli bruciava il sangue e il cervello. E intanto la divorava con gli occhi, di lontano. Ora una carrozza, ora un gruppo di gente gliela nascondeva, e poi essa riappariva, e gli riappariva ogni volta più grande, più formosa, più trionfante, per fargli entrar più addentro nel cuore lacerato la punta della disperazione.
      Le amiche l'accompagnarono fino al portone. Egli si arrestò all'angolo di via San Francesco. Di là aspettava di vederla sparire per sempre, come in un abisso.
      Ma quando vide le amiche lasciarla e lei entrare in casa, una risoluzione improvvisa lo spinse, un bisogno irrefrenabile di dirle addio ancora una volta.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





San Francesco