GLI EDITORI.
I.
Pioveva, il mare era agitato, il bastimento ballava come una barchetta; a una mezz’ora appena da Dieppe provai, per la prima volta in vita mia, i sintomi del mal di mare. C’erano a bordo molte signore, la maggior parte inglesi, che sgranocchiavano allegramente cacio e prosciutto, senza neppur mostrare d’accorgersi di quel tremendo ballottìo che sconvolgeva le viscere a me e ad altri, qualcuno dei quali s’era già lasciato sfuggire dalla bocca più che dei lamenti. Ebbene, è proprio vero che il mal di mare rende l’uomo superiore a tutte le vanità umane. Se una mezz’ora prima m’avessero detto: — Guarda; qui c’è tanto denaro da stare a Londra un mese invece di quindici giorni, come ci starai tu; e poi da fare un giro in Scozia, e poi una scappata in Irlanda; questo denaro è tuo, se tu pigli davanti a questo signore un atteggiamento che ti renda ridicolo; — confesso la mia vanità, l’avrei rifiutato. Una mezz’ora dopo, invece, stavo con un infinito disprezzo di me medesimo, sopra due sacchi sucidi, un piede a oriente ed uno a occidente, il cappello cilindrico schiacciato sur un orecchio, un calzone tirato su che metteva in bella mostra un palmo di mutanda incatramata, e la testa dondolante con un abbandono così svenevole, che avrei potuto servir di modello per una brutta statua del Languore. Ah è un gran male malsano il mal di mare, bisogna dir col Fucini. Per maggior tormento avevo accanto un francese buffone, partito con me da Parigi, che mi dava la baia, ripetendo ad ogni mio gemito: — Mais1 vous n’êtes pas malade, mon cher monsieur: vous languissez d’amour pour cette charmante demoiselle que voilà, — e indicava una signora che io non avevo la forza di guardare; e la gente intorno rideva.
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