Quel treno è appena passato, odo un altro fischio da un’altra parte; e vedo trasvolare un altro treno sopra i comignoli delle case laterali. Nello stesso momento, dalla parte opposta, esce un nuvolo di fumo da una larga apertura della terra: è un terzo treno della strada ferrata sotterranea, che passando un istante all’aperto, fischia un saluto alla luce. Arrivo all’imboccatura di una larga strada: vedo in lontananza il Tamigi, i ponti; su quei ponti altri treni che si seguono e s’incontrano; sotto gli archi, battelli a vapore che passano inchinando i tubi come grandi alberi curvati dal vento, lunghe file di barconi, rimorchiati da piroscafi; sciami di zattere e di barchette; e lungo le spallette dei ponti processioni di gente che spariscono sulla riva opposta. Andando innanzi, altre strade di cui non si vede la fine, fiancheggiate da edifizii enormi, corse da altri torrenti di gente. E da per tutto un fracasso di ponti di ferro tremanti sotto il peso di lunghissimi treni, fischi, sbuffi di fumi, soffi affannosi sopra il mio capo, sotto i miei piedi, vicino e lontano, per terra, per aria e per acqua; una gara, una furia di cose che partono e di cose che arrivano, una continuità di fughe, d’incontri, e d’inseguimenti accompagnati da uno strepito di schiocchi, di cigolii, di scalpitii, di rimbombi; lo sparpagliamento di una grande battaglia e l’ordine d’una smisurata officina; e poi l’oscurità del cielo, la tetraggine degli edifizi, il silenzio della folla, la gravità dei volti, che dà allo spettacolo non so che aspetto misterioso e doloroso, come se quell’immenso moto fosse una necessità fatale e quell’immenso lavoro una dannazione.
| |
Tamigi
|