In quel punto par di essere in un’altra Londra; v’è non so quale maestà serena di città meridionale. Il Tamigi, percorso da pochi piroscafi e da poche barche, passa in silenzio dinanzi al monumento che rappresenta la gloria e la potenza dell’Inghilterra, come un esercito infinito che sfili dinanzi al suo principe; e da quell’ampiezza chiara e queta si vede in fondo, lontano, come traverso a un velo, gli edifizi neri e confusi, i ponti che formicolano di gente, e il fumo denso della vecchia Londra che s’agita e lavora.
Osservai per la prima volta, stando su quel ponte, che a Londra quando c’è un po’ di mota per le strade, moltissimi, anche signori, si rimboccano i calzoni come i contadini; e che altri moltissimi portano dei vistosi mazzetti di fiori all’occhiello. E confesso che non potevo trattenermi dal ridere vedendo, come vidi spesso, un viso straordinariamente grave, il mazzetto, e la rimboccatura, sur una sola persona.
Ritornato sulla sinistra del Tamigi, girai per le strade principali, colla mia brava pianta in mano senza aver bisogno di chieder nulla a nessuno.
L’aspetto generale delle strade di Londra non si può propriamente dire quale sia. Nessuna città presenta una così disordinata varietà di forme, una così capricciosa mescolanza di bello, di brutto, di magnifico, di povero, di triste, di strano, di grande, di uggioso. Vi pare come una città, nel suo complesso, nuova per voi, ma composta di tante altre città già vedute, alle quali abbian dato una tinta comune, per nasconderne l’origine diversa.
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