In certi punti, si trovano analogie misteriose di luoghi, di circostanze, di persone, da parervi d’esser stato un’altra volta in quel punto stesso, a quell’ora medesima, con quella stessa luce di sole, e quel medesimo odore dell’aria, in un tempo remoto. A momenti, vi piglia un’allegria senza cagione, un amore subitaneo del paese dove siete, che vi fa guardar tutti quei che passano con un occhio benevolo, come se fossero tutti amici. In altri momenti un’occhiata sospettosa, una risposta sgarbata d’uno sconosciuto, vi cangia l’animo, vi fa veder tutto nero, vi rende il paese odioso. Il suono lamentevole di un organetto, in certe strade cupe e popolose, vi fa pensare confusamente agl’infiniti misteri di miserie e di delitti che si nascondono in quegli immensi formicai umani; e vi fa desiderare ardentemente di esser fuori di là, all’aria aperta, in una villa solitaria che avrete visto di sfuggita dieci anni prima dal finestrino d’una diligenza.
A una cert’ora, trovandomi vicino a una stazione, volli fare una corsa per la strada ferrata sotterranea. Scendo due o tre scale, e mi trovo tutt’a un tratto sbalzato dal giorno alla notte: lumi, gente, strepito, treni che giungono e che spariscono nel buio. Giunge il mio, si ferma, gente si precipita giù, gente salta nei vagoni; mentre domando dove sono le seconde classi, il treno è partito. — Ma che maniera è questa? — dico a un’impiegato. — Non si confonda, — mi risponde, — eccone un altro. Là i treni non si succedono, s’inseguono. L’altro treno giunge, salgo, e via come una saetta.
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