Allora comincia uno spettacolo nuovo. Si corre fra le fondamenta della città, nell’ignoto. Prima ci si sprofonda nel buio fitto, poi si vede per un momento la luce fioca del giorno, poi daccapo nell’oscurità, rotta qua e là da bagliori strani; poi in mezzo ai mille lumi d’una stazione che appare e scompare in un punto; treni che passano e non si vedono; una fermata improvvisa, le mille faccie d’una folla che aspetta, illuminate come dal riflesso d’un incendio; e poi via daccapo in mezzo a un rumore assordante di sportelli sbattuti, di campanelli, di soffi di macchine; altre oscurità, altri treni, altri barlumi di giorno, altre stazioni illuminate, altre folle che passano, che giungono, che si allontanano, fin che s’arriva all’ultima stazione; mi precipito, il treno dispare, sono spinto in una porta, son mezzo portato su per una scala, mi ritrovo alla luce del giorno... Ma dove? Che città è questa? come uscirò di qui? Adagino; andiamo un po’ in una birreria a studiare la pianta.
Stazione di una ferrovia sotterraneaDopo un profondo studio, riuscii a trovar la via d’andare al British Museum, di tutti i musei di Londra quello che mi stimolava di più la curiosità. Attraversai in fretta le immense sale della scultura, le sale egiziane, le sale assire, e mi arrestai nella sala dei manoscritti, a considerare il contratto di pigione di Shakspeare e il contratto di vendita del Paradiso perduto, e gli altri innumerevoli autografi dei più grandi artisti e dei più gran monarchi del mondo.
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