Poco distante è la piccola chiesa dove sono sepolti Anna Bolena, Roberto Devereux, Caterina Howard, e altri che furono avvelenati o pugnalati o strozzati nelle segrete. Il castello, nudo e lugubre di fuori, è anche più triste dentro. Le scale, strette e schiacciate dalle vôlte, conducono in grandi sale squallide, in lunghi corridoi semi-oscuri, in celle sinistre, in quei sepolcri di gente viva dove si stracciarono i capelli e batterono il capo nelle pareti tanti infelici impazziti dalla disperazione. La mente si distrae per poco da quei pensieri in mezzo alle splendide armature dei re e dei principi, raccolte nelle sale a terreno; e poi vi ricade, al veder l’orrenda segreta dove Walter Raleigh, il favorito di Elisabetta, languì dodici anni; la scure e il ceppo ancora macchiato di sangue, dove fu troncata la testa a centinaia di prigionieri della Torre; gli strumenti ancora intatti, coi quali si straziavano le carni e si stritolavan le ossa, senza dare la morte. Grida che sfuggono ad una creatura umana soltanto insieme alla vita, gemiti che fanno inorridire, atteggiamenti, parole supplichevoli che lacerano il cuore, e resistenze sovrumane di gente che non vuol morire, si sentono e si vedono col pensiero, vivissimamente, girando pei recessi di quell’edifizio maledetto.
In una sala appartata, sotto una grande custodia di vetro, difesa da una rete di ferro, si vede un mucchio di scettri, di diademi e di braccialetti che abbarbagliano come un raggio di luce elettrica: sono i diamanti della Corona d’Inghilterra, che presentano tutti insieme il valore di settantacinque milioni di lire.
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