Il castello di Windsor.
Dalle visite faticose ai Musei e ai Palazzi, m’andavo a riposare nei parchi, – in quelle grandi oasi del popoloso deserto di Londra, dove l’anima si rallegra al vedere che il mondo non è tutto case e strade ferrate; dove centinaia di bellissime donne su bellissimi cavalli trascorrendo per viali di cui non si vede la fine, e migliaia di bimbi sparpagliati alla corsa per prati immensi e intorno a grandi laghi solcati da barchette innumerevoli, vi fanno pensare con piacere che la vita non è tutta traffico e fatica; dove il verde rigoglioso, l’ilarità dei volti e la melodia della musica italiana, vi ravvivano con un sentimento di tenero desiderio l’immagine della patria cara che rivedrete fra poco. O Hyde Park, Regent’s Park, parco del Vittoria, parco di Battersea, parco di Greenwich, parco di Southwark, parco di San Giacomo, parco d’Olanda, – benefici consolatori delle mie malinconie, – io vi ringrazio e vi saluto! E ripenso con gratitudine anche alla collina del castello di Windsor, ai boschetti di Eton, ai passeggi di Richmond e ai giardini di Kew e a tutti gli ameni dintorni di Londra, dove mi salvai dalla noia micidiale delle domeniche. Ah! chi non ha visto Londra la domenica, non sa che cos’è la noia. Le porte chiuse, le finestre sbarrate, le strade deserte, le piazze silenziose; intieri quartieri abbandonati, dove si potrebbe morir di fame senz’essere nè soccorsi nè visti; uno squallore di città disabitata; un tedio infinito su tutte le cose; si direbbe che le statue sonnecchiano e che le case s’annoiano, e vi si apre la bocca in così larghi e lunghi e violenti sbadigli, che subito vi vien fatto di tastarvi la faccia per vedere se c’è nulla di dislogato.
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