Per un po’ di tempo, lo spettacolo non è straordinario. Mucchi enormi e file sterminate di sacchi, di botti, di casse, di balle che ingombran le rive, le dighe, i ponti, le imboccature delle strade; lunghissimi muri di cinta, infinite case nere, e per tutto fumo di officine, moto di macchine, e affaccendarsi d’operai e di marinai; il movimento, più fitto e più svariato, che si vede in tutti i grandi porti. Senonchè, quando si è giunti al grande svolto del Tamigi, si comincia a osservare che prima d’allora non s’era mai percorso un così lungo spazio in mezzo ai bastimenti, e appena svoltati, vedendo ancora nella nuova dirittura alberi e vele a perdita d’occhio, si prova una viva maraviglia. Ma è ben altra cosa quando ci s’accorge che di là da questi alberi e da queste vele, oltre i muri altissimi che si stendono lungo le due rive, vi sono altre foreste di bastimenti, fitte, profonde, confuse; a sinistra i grandi bacini dei docks delle Indie occidentali, che coprono la superficie di cento ettari; a destra i cinque grandi docks «Commerciali» e i docks di Surrey, che si estendono per parecchie miglia dentro terra. Non si naviga più fra due file di navi, ma fra due file di porti; e lo sguardo non può abbracciare tutto lo spettacolo. Oltrepassati i docks commerciali, si va innanzi per qualche miglio in mezzo a docks minori; ma sempre tra foreste di bastimenti, muri neri di magazzeni grandi come città, e monti di mercanzie. Si passa dinanzi al glorioso ospedale di Greenwich4, e si svolta intorno all’isola dei Cani.
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