Tutto ciò ci divertì per un istante. Il pubblico del luogo prendeva grande interesse alla rappresentazione, e nulla notammo che ci sembrasse straordinario nei vestiti e nelle faccie degli spettatori. Decisivamente il signor Price voleva progredire a gradi. Non tardammo infatti ad entrare in diversi caffè-cantanti, dove alcuni marinai stranieri, mescolati a donne di bordello, componevano tutto il pubblico degli esecutori e degli spettatori.
Il ballo (gigue) al caffè-danzante.
In uno di questi caffè un ballerino dei più agili volle darci un saggio della gigue britannica. Era una meraviglia vedere questo ragazzaccio dimenarsi sulla scena fino a perdere il fiato. Attorno a lui si faceva circolo: dei camerata, delle ragazze vestite da ballerine, delle donne più avanzate d’età, tutta quella gente infine non perdeva uno dei suoi scambietti. Noi dovemmo aspettare la fine: allora venne la sequela degli applausi, delle congratulazioni; ci fu quindi offerta della birra, del punch, e tanto graziosamente, che dovemmo accettare. «Col lupo bisogna urlare,» disse l’altro. Noi trincammo dunque con queste donne, che per un momento erano venute a sedersi accanto a noi, senza che i loro compagni se ne fossero menomamente adontati, e noi non ne volemmo sembrare offesi davvantaggio. Nel ritirarci pagammo anzi le bibite che ci erano state offerte; il che dal lato delle nostre nuove conoscenze ci valse l’alto onore di essere accompagnati fino nella via e regalati dell’epiteto di gentlemen. Tuttavia non potevamo essere molto soddisfatti di tutte queste dimostrazioni di gentilezza, avuto riguardo alle persone che ce le facevano; ma bisognava fare di necessità virtù, cosa che il signor Price avea veduto ben altre volte.
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