E tutto è economico. Potete spendere fino all’ultimo centesimo credendo sempre di fare economia. Ma quanta varietà di oggetti e di spettacoli! Nello spazio di quindici passi vedete una corona di diamanti, un mazzo spropositato di camelie, un mucchio di tartarughe vive, un quadro a olio, una coppia di signorine automatiche che nuotano in una vaschetta di latta, un vestimento completo da contentare l’uomo «più scrupolosamente elegante» per otto lire e cinquanta centesimi, un numero del Journal des abrutis con un articolo a doppio taglio sull’esposizione delle vacche, un gabinetto per gli esperimenti del fonografo, e un bottegaio che dà il volo a un nuvolo di farfalle di penna per adescare i bimbi che passano. A ogni tratto vedete schierate tutte le faccie illustri della Francia. Non c’è città che in questo genere d’esposizione eguagli Parigi. L’Hugo, l’Augier, mademoiselle Judic, il Littré, il Coquelin, il Dufaure, il Daudet, sono in tutt’i buchi. Incontrate dei visi d’amici da tutte le parti. E nessuna impressione, neanche dei luoghi, è veramente nuova. Parigi non si vede mai per la prima volta; si rivede. Non ricorda nessuna città italiana; eppure non par straniera, tanto vi si ritrovano fitte le reminiscenze della nostra vita intellettuale. Un amico vi dice: – Ecco la casa del Sardou, ecco il palazzo del Gambetta, ecco le finestre del Dumas, ecco l’ufficio del Figaro – e a voi vien naturale di rispondere: Eh! lo sapevo. – Così riconoscendo mille cose e mille aspetti, continuiamo a girare, rapidamente, in mezzo a incrociamenti di legni da cui non vedo come usciremo, a traverso a folle serrate che ci arrestano all’improvviso, nelle ombre deliziose del Parco Monceaux, intorno alle grandi arcate leggiere delle Halles, davanti agli immensi «magazzini di novità» assiepati di carrozze, intravvedendo, di lontano, ora un fianco del teatro dell’Opera, ora il colonnato della Borsa, ora la tettoia enorme d’una Stazione, ora un palazzo incendiato dalla Comune, ora la cupola dorata degli Invalidi, e dicendoci l’un l’altro mille cose, e le stesse cose, e con la più viva espansione, senza pronunziare una parola e senza ricambiarci uno sguardo.
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