Anche la Senna lavora per «la gran festa della pace» e par che spieghi più benevolmente dell’usato, in mezzo alle due Parigi che la guardano, la sua maestà regale e materna.
Qui il mio compagno non potè resistere alla tentazione di Nôtre Dame, e salimmo sulla cima d’una delle due torri per vedere «il mostro.» Ottima cosa che mette i pensieri in calma. Bisogna almeno dominarle, queste mostruose città, in quel solo modo che ci è possibile: collo sguardo. Salimmo sulla punta del tetto della torre di sinistra, dove Quasimodo delirava a cavallo alla campana, e ci afferrammo all’asta di ferro. Che immensità gloriosa! Parigi empie l’orizzonte e par che voglia coprire tutta la terra colle smisurate onde immobili e grigie dei suoi tetti e delle sue mura. Il cielo era inquieto. Le nuvole gettavano qua e là ombre fosche che coprivano spazi grandi come Roma; e in altre parti apparivano montagne, grandi vallate e vastissimi altipiani di case dorate dal sole. La Senna luccicava come una sciarpa d’argento da un capo all’altro di Parigi, rigata di nero dai suoi trenta ponti, che parevan fili tesi tra le due rive, e punteggiata appena dai suoi cento battelli, che parevano foglioline natanti. Sotto, la mole delicata e triste della cattedrale, le due isole, piazze nereggianti di formiche, lo scheletro del futuro Hôtel de ville, simile a una grande gabbia d’uccelli, e la réclame smisurata e insolente d’un mercante d’abiti fatti che sfondava gli occhi a mille e duecento metri di distanza. Qua e là, le grandi macchie dei cimiteri, dei giardini e dei parchi; isole verdi in quell’oceano.
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