Trovate il chiosco dei vini di Sicilia e il chiosco dei vini di Guiro; tutti i vini d’Australia nella capanna da minatore eretta dal governo di Malbourne; e nella sezione delle colonie inglesi, il misterioso vino di Costanza, del Capo di Buona Speranza, e l’enigmatico vino del Romitaggio della nuova Galles, fatto con uva secca. Ci avete il vino di Schiraz nella sezione di Persia, il vino di Corinto accanto all’acqua delle Termopili, e potete gustare un Tokai squisito nella trattoria rustica dell’Ungheria, al suono d’una banda di zingari. Per mangiare poi non c’è che da chiedere. Nei padiglioni delle colonie francesi una creola vi dà l’ananasso, una mulatta vi dà il banano, un negro la vaniglia. Potete mangiare della marmellata del Canadà e intingere in un bicchiere del famoso Sant’Uberto di Vittoria dei biscotti che hanno attraversato l’Atlantico. Potete scegliere fra i pesci celebrati della Norvegia e i maiali illustri di Chicago. Potete fare anche meglio: prendervi un pezzo di carne cruda venuta dall’Uraguay, ma fresca e sanguinante che par della mattina, e andarvela a far cuocere voi stessi collo specchio ustorio dell’Università di Tours, nella galleria delle arti liberali di Francia. Poi ci sono le trattorie olandesi, americane, inglesi e spagnuole. Avete al vostro servizio cento bei pezzi di ragazze vestite di nero e di bianco in un monumentale bouillon Duval che pare un tempio delle Indie. Se avete un debole per la Russia, potete andare alla trattoria russa dove da manine polacche, moscovite, armene, caucasee v’è servito il vero kumysy venuto dalle steppe dell’Ural, o l’acqua igienica della Neva, o la colebiaka d’erbaggi e di pesce, o qualche altro pasticcio russo-turco condito con vin di Cipro.
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