Lo spettacolo più bello è quello che presenta la gente. A certe ore il recinto dell’Esposizione è più popolato di molte grandi città. I visitatori entrano per venti porte. I viali, i vestiboli, le gallerie, i passaggi traversali, e il labirinto infinito delle sale del campo di Marte, è tutto un brulicame nero, in cui c’è da fare a non perdersi. Specialmente nelle «sezioni estere», dove i venditori formano da sè soli una specie d’esposizione antropologica dilettevolissima, C’è un gran numero di belle ragazze inglesi che lavorano ai loro registri, intente e impassibili, in mezzo a quel via vai, come se fossero in casa propria. I Giapponesi, – vestiti all’europea, – chiaccherano e giocano, seduti intorno ai loro tavolini, allegri, forse con un po’ d’ostentazione, per darsi l’aria di gente che si sente benissimo al suo posto nel cuore della civiltà occidentale; e infatti hanno già preso tanto l’aria di casa, che quasi nessuno li guarda. I Chinesi, invece, hanno sempre intorno un cerchio di curiosi, ai quali rivolgono di tratto in tratto uno sguardo sprezzante, che rivela, come un lampo, la superbia cocciuta della loro razza; e poi ripigliano la loro impassibilità di idoli, da cui li smuove soltanto la voce dei compratori. Si vedon dei mercanti orientali, in turbante, che strascicano le loro ciabatte in mezzo a tutte quelle meraviglie, guardando intorno oziosamente colla stessa stupida e irritante indifferenza che mostrerebbero nelle loro vecchie baracche di bazar. Tratto tratto se ne trovano tre o quattro estatici davanti a una faccia di cartapesta o a una marionetta che allarga le braccia.
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