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      Solo nel primo momento della concezione è osservatore tranquillo e fedele; poi la sua natura invincibilmente lirica irrompe, ed egli afferra colla mano poderosa la sua creatura, e la trasporta al di sopra della terra. Dalla prima all’ultima pagina è sempre presente, despota orgoglioso e violento, e ci fa della lettura una lotta. Ci caccia innanzi a spintoni, ci solleva, ci stramazza, ci rialza, ci scrolla, ci umilia, ci travolge nella sua fuga precipitosa, senza dar segno d’avvedersi che noi esistiamo. Balziamo rapidissimamente fra i più opposti sentimenti che può suscitar la lettura, dalla noia irritata all’entusiasmo ardente, come palleggiati dalla sua mano. Eterne pagine si succedono in cui l’Hugo non è più lui, Egli travia, erra a tentoni nelle tenebre, e delira. Non sentiamo più la parola dell’uomo; ma l’urlo o il balbettio del forsennato. E i periodi enormi cascano sui periodi enormi, a valanghe, oscuri e pesanti, o i piccoli incisi sui piccoli incisi, fitti e rabbiosi come la grandine, e s’incalzano e s’affollano confusamente le assurdità, le vacuità, le iperboli pazze e le pedanterie. Vittor Hugo pedante! Eppure sì; quando ci esprime cento volte l’idea che abbiamo afferrata alla prima, quando ci mostra lentamente e ostinatamente, una per una, le mille faccette d’una pietra ch’egli crede un tesoro e ch’è un diamante falso. E in quel frattempo, mentre sonnecchiamo o fremiamo, ci si affacciano alla menti; le analisi spietate dei critici, lo ire dei classicisti, gli anatemi dei pedanti, gli scherni dei suoi infiniti avversarii, e stiamo per dir: — Han ragione!


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





Hugo Hugo