Poichè egli può tutto, ed è grande nella tragedia e insuperabile nell’idillio. Noi tutti abbiamo sentito scricchiolare le ossa d’Esmeralda nel letto della tortura, e abbiamo visto faccia a faccia la morte, quando ce la presenta orrenda come in Claudio Frollo appeso al cornicione della cattedrale, o furiosa come sulla barricata di via Saint-Denis, o epica come sul campo di Waterloo, o infinitamente triste come nelle nevi della Russia, o solennemente lugubre, come nel naufragio dei Comprachicos. Ed è lo stess’uomo che fa vibrare sovrumanamente le corde più delicate dell’anima; l’autore del Revenant su cui milioni di madri singhiozzarono, l’autore di quel celeste Idillio di Rue Plumet, di quella santa agonia di Jean Valjean, che strazia l’anima, e di quei versi meravigliosi, in cui Triboulet spande piangendo l’immensa ed umile tenerezza del suo amore di padre. No, mai parole più dolci, preghiere più soavi, grida d’amore più appassionate, slanci d’affetto e di generosità più nobili e più potenti, sono usciti da un cuore di poeta. E allora Vittor Hugo è grande, buono, venerabile, augusto, e non c’è anima umana che in quelle pagine non l’abbia benedetto ed amato. In momenti solenni della vita, accanto al letto d’un moribondo, durante una grande battaglia della coscienza, i suoi versi ripassano per la mente, come lampi, e risuonano all’orecchio consigli d’un amico affettuosoe severo che ci dica: — Sii uomo! — Poichè egli ha tutto sentito, tutto compreso e tutto detto; ha le disperazioni tremende e le rassegnazioni sublimi; non v’è dolore umano a cui non abbia detto una parola di conforto; non c’è sventura al mondo su cui non abbia fatto versare delle lagrime.
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