Questo era il Vittor Hugo che mi vedevo davanti, e ad ogni ora che passava, mi pareva che la sua figura si innalzasse di un palmo e che il mio cuore ringiovanisse d’un anno.
VII.
Eppure, ecco un problema per gli scrutatori del cuore umano. Verso sera, un’ora prima d’andare, tutt’a un tratto mi si fece dentro come un silenzio mortale. Mi sentii improvvisamente vuoto, asciutto e freddo. Mi parve che, comparendo davanti a Vittor Hugo, non avrei sentito la menoma scossa, nè trovato una parola da dire. E ne rimasi atterrito. Poichè, insomma, non c’è che una commozione profonda e visibile che giustifichi l’audacia di quelle visite: quando la commozione manca, par che si vada là per curiosità, e la pura curiosità, in quei casi, è sfrontatezza. Che cosa sono questi ammutolimenti improvvisi del cuore? Forse che il cuore s’addormenta, stanco della commozione, per ripigliar nuove forze? Io non so. So che avevo un bell’eccitarmi, e richiamare alla mente tutti i pensieri e tutti i sentimenti della mattina; ogni sforzo era inutile; per quanto mi soffiassi dentro, non riuscivo a sollevare una scintilla; e salii le scale con una indifferenza che mi costernava. — Sono istupidito, — mi domandavo, — o son malato? Ed ora che cosa dirò? — La stizza mi divorava; mi sarei morso le mani e dato dei pugni nella testa. E mi ricordo ch’ero ancora in questo stato quando la porta s’aperse e mi trovai nell’anticamera illuminata da una lampada appesa al soffitto. Ma fu quello, grazie al cielo, l’ultimo momento.
| |
Vittor Hugo Vittor Hugo
|