L’entusiasmo trabocca, altero di sè stesso, in parole ardite e virili; la fronte si alza, l’occhio divampa, la voce vibra, l’anima grandeggia. Che cos’abbia detto, non so. Qualcuno mi suggeriva nell’orecchio, rapidamente, delle parole ardenti, che io ripetevo colla voce tremante e sonora, provando una immensa dolcezza nel cuore, e vedendo davanti a me, in confuso, una testa bianca che mi pareva enorme, e due pupille fisse nelle mie che pigliavano a grado a grado una espressione di curiosità e di benevolenza. Tutt’a un tratto tacqui, come se una mano mi avesse afferrato alla gola e restai col respiro sospeso,
Allora la mia affettuosa ammirazione di venti anni, la costanza del mio ardente desiderio, le mie trepidazioni di quel giorno, le mie inquietudini dei giorni innanzi, i miei terrori di fanciullo, le mie veglie di giovanetto, le mie febbri di uomo, le mie umiliazioni di scrittore ebbero un grande compenso.
La mano che scrisse Notre Dame, e la Lègende des siècles strinse la mia.
E subito dopo provai un secondo sentimento, forse più dolce del primo.
La mano sinistra del grande poeta raggiunse la destra, e la mia mano calda e tremante rimase per qualche momento tra le sue.
Seguì un breve silenzio, durante il quale sentii il suono del mio respiro, come se avessi fatto una corsa.
Poi sentii la sua voce; una voce grave, ma dolce, in cui mi parve di sentire mille voci, e che mi stupì, come se, udendola, vedessi comparire Vittor Hugo per la seconda volta.
— Siete il benvenuto in casa mia, signore — disse.
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Notre Dame Lègende Vittor Hugo
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