E pensando queste cose andavo cercando una frase molto significante con cui cominciare il discorso, nel caso che il destro si presentasse.
La fortuna m’assistè. Vittor Hugo uscì per un momento, poi tornò vicino al camminetto e mi sedette accanto. La conversazione s’era rotta in molte conversazioni. Il momento non poteva essere più opportuno. Cento interrogazioni mi corsero in un punto alle labbra, e cominciai arditamente: — Signore!
Vittor Hugo si voltò cortesemente, mi mise una mano sopra un ginocchio e mi guardò in atto d’aspettazione.
Che cosa volete! Sono disgrazie che possono capitare a tutti. Vi ricordate del sarto letterato dei Promessi sposi, che dopo aver studiate mille belle cose da dire al cardinal Federigo per farsi onore, arrivato il momento, non sa dir altro che un: — Si figuri! — di cui rimane avvilito per tutta la vita? Ebbene, mi duole il dirlo, e lo dico per castigarmi: io feci la stessissima figura di quel sarto; anzi una figura cento volte più trista. Lo sguardo fisso di Vittor Hugo mi turbò, tutte le mie belle idee scapparono, e non dissi altro che questo...
Insomma, bisogna ch’io lo dica.
Io gli domandai se era stato a vedere l’Esposizione!
E rimasi là fulminato dalla mia domanda.
Non ricordo più che cosa Vittor Hugo m’abbia risposto. Ricordo soltanto che, qualche momento dopo, parlando dell’Esposizione, disse: — C’est un beau joujou.
— Mais c’est immense, savez vous, mon maître, — gli osservò un tale.
Ed egli rispose sorridendo: — c’est un immense joujou.
Queste parole, presso a poco, mi parve di sentire dal cupo fondo della mia umiliazione.
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