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      E non osai più aprir bocca. Vittor Hugo, poco dopo, cambiò di posto, le conversazioni parziali tornarono a confondersi in una sola: l’occasione era perduta. Ma mi consolai presto. Vittor Hugo ricominciò a parlare, ed io socchiudendo gli occhi e guardando in alto, per essere un po’ solo con me stesso, cominciai a riandare tutte le belle emozioni di cui ero debitore a quell’uomo, accompagnando il mio pensiero al suono dolce e grave della sua voce; e pensavo alle letture di Notre Dâme fatte di nascosto dietro i banchi della scuola, alle tante volte che avevo baciato i volumi delle Contemplazioni sotto un capanno di gelsomini, nel giardino della mia casa paterna; ai versi suoi che solevo declamare sotto la tenda, di notte, in mezzo al silenzio degli accampamenti; al batticuore che avevo provato la prima volta che m’era caduto sotto gli occhi un suo informe ritratto in litografia; all’immensa distanza che sentivo tra lui e il mio desiderio di conoscerlo, nella piccola città di provincia dove avevo letto il suo primo libro; a un giorno che, ancora ragazzo, avevo fatto ridere mio padre domandandogli: — E se comparisse tutt’a un tratto Vittor Hugo, mentre noi siamo a tavola, che cosa faresti? — ; e tutti questi ricordi lontani, evocati là, vicino a lui, mi commovevano, e ripetevo tra me: —. Ed ora l’ho conosciuto, lo conosco, sono nella sua casa; questa voce che sento è la sua; —. egli è qui, — a un passo da me. Ma è proprio vero? — E aprivo gli occhi e dicevo: — Eccolo lì, il mio caro e terribile Hugo; non è mica un sogno, per Dio!


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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