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      Par di vedere e di toccare la Verità per la prima volta. Certo che, per quanto si abbia lo stomaco forte e le nez solide; come Gervaise all’ospedale, qualche volta bisogna fare un salto indietro, come a una fiatata improvvisa d’aria pestifera. Ma anche in quei punti, come quasi ad ogni pagina, nell’atto stesso che protestiamo furiosamente: — Questo è troppo! — c’è un diavolo dentro di noi che ride e strepita e se la gode mattamente, a nostro dispetto. Si prova lo stesso piacere che a sentir parlare un uomo infinitamente schietto, anche quando sia brutale; un uomo che esprime, come dice Otello, la sua peggiore idea colla sua peggiore parola, che descrive quello che vede, che ripete quello che ascolta, che dice quello che pensa, che racconta quello che è, senza nessun riguardo di nessunissima natura, come se parlasse a sè stesso. Alla buon’ora. Fin dalle prime righe, si sa con chi s’ha da fare. I delicati si ritirino. È un affar convenuto: egli non tacerà nulla, non abbellirà nulla, non velerà nulla, nè sentimenti, nè pensieri, nè discorsi, nè atti, nè luoghi. Sarà un romanziere giudice, chirurgo, casista, fisiologo, perito fiscale, che solleverà tutti i veli, e metterà le mani in tutte le vergogne, e darà il nome proprio a tutte le cose, freddamente, non badando, anzi meravigliandosi altamente della vostra meraviglia. E così è in fatti. Nell’ordine morale, egli svela dei suoi personaggi fin quei profondissimi sentimenti, che sogliono essere per tutti segreti eterni, quando non si bisbiglino tremando nel finestrino d’un confessionale; nell’ordine materiale, ci fa sentire tutti gli odori, tutti i sapori e tutti i contatti; e in fatto di lingua ci fa grazia appena di quelle pochissime parole assolutamente impronunziabili, che i ragazzi viziosi cercano di soppiatto nei vocabolari.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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