Fra tutte queste cose, in tutti questi luoghi, di cui si respira 1’aria, e in cui si vede e si tocca tutto, si muove una folla svariatissima, di signore corrotte fino alla midolla, d’operai incarogniti, di bottegaie sboccate, di banchieri bindoli, di preti bricconi, di sgualdrinelle, di bellimbusti, di mascalzoni e di sudicioni d’ogni tinta e d’ogni pelo, – fra i quali apparisce qua e là, rara avis, qualche faccia di galantuomo, – e lì fanno fra tutti un po’ di tutto, dal furto all’incesto, girando fra il codice penale e l’ospedale o il monte di pietà e la taverna, a traverso a tutte le passioni e a tutti gli abbrutimenti, fitti nel fango fino al mento, in un’aria densa e grave, ravvivata appena di tempo in tempo dal soffio d’un affetto gentile, e agitata alternatamene da alti cachinni plebei e da grida strazianti di affamati e di moribondi. E malgrado ciò, egli è uno scrittore morale. Si può affermarlo risolutamente. Emilio Zola è uno dei romanzieri più morali della Francia. E fa davvero stupore che ci sia chi lo mette in dubbio. Del vizio egli fa sentire il puzzo, non il profumo; le sue nudità son nudità di tavola anatomica, che non ispirano il menomo pensiero sensuale; non c’è nessuno dei suoi libri, neanche il più crudo, che non lasci nell’animo netta, ferma, immutabile l’avversione o il disprezzo per le basse
passioni che vi sono trattate. Egli non è, come il Dumas figlio, legato da un’invincibile simpatia ai suoi mostri di donne, a cui dice: — Infami — ad alta voce o — care — a fior di labbra.
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