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      È un lavoro quasi sempre lungo. Ma io mi ci metto flemmaticamente, e invece d’adoperarci l’immaginazione, ci adopero la logica. Ragiono tra me, e scrivo i miei soliloqui, parola per parola, tali e quali mi vengono, in modo che, letti da un altro, parrebbero una stranissima cosa. Il tale fa questo. Che cosa nasce solitamente da un fatto di questa natura? Quest’altro fatto, Quest’altro fatto è tale che possa interessare quell’altra persona? Certamente. È dunque logico che quest’altra persona reagisca in quest’altra maniera, E allora può intervenire un nuovo personaggio; quel tale, per esempio, che ho conosciuto in quel tal luogo, quella tal sera. Cerco di ogni più piccolo avvenimento le conseguenze immediate; quello che deriva logicamente, naturalmente, inevitabilmente dal carattere e dalla situazione dei miei personaggi. Faccio il lavoro d’un commissario di polizia che da qualche indizio voglia riuscire a scoprire gli autori d’un delitto misterioso. Incontro nondimeno, assai sovente, molte difficoltà. Alle volte non ci sono più che due sottilissimi fili da annodare, una conseguenza semplicissima da dedurre, e non ci riesco, e mi affatico e m’inquieto inutilmente. Allora smetto di pensarci, perchè so che è tempo perduto. Passano due, tre, quattro giorni. Una bella mattina, finalmente, mentre fo colazione e penso ad altro, tutto a un tratto i due fili si riannodano, la conseguenza è trovata, tutte le difficoltà sono sciolte. Allora un torrente di luce scorre su tutto il romanzo.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192