Così, prima d’aver fatto la tela del romanzo, avevo già concepita la descrizione di un pranzo nella bottega di Gervaise, e quella della visita al museo del Louvre. Avevo già studiate le mie bettole, l’Assommoir di père Colombe, le botteghe, l’Hôtel Boncœur, ogni cosa. Quando tutto il rimanente fu predisposto, cominciai a occuparmi di quello che doveva accadere; e feci questo ragionamento, scrivendolo. Gervaise viene a Parigi con Lantier, suo amante. Che cosa seguirà? Lantier è un pessimo soggetto: la pianta. E poi? Lo credereste che mi sono intoppato qui, e che non andai più avanti per vari giorni? Dopo vari giorni feci un altro passo. Gervaise è giovane; è naturale che si rimariti; si rimarita, sposa un operaio, Coupeau. Ecco quello che morirà a Sant’Anna. Ma qui rimasi in asso da capo. Per mettere a posto i personaggi e le scene che avevo in mente, per dare un’ossatura qualunque al romanzo, mi occorreva ancora un fatto, uno solo, che facesse nodo coi due precedenti. Questi tre soli fatti mi bastavano; il rimanente era tutto trovato, preparato, e come già scritto per disteso nella mia mente. Ma questo terzo fatto non riuscivo a raccappezzarlo. Passai varii giorni agitato e scontento. Una mattina, improvvisamene, mi balena un’idea. Lantier ritrova Gervaise, – fa amicizia con Coupeau, – s’installa in casa sua.... et alors il s’établit un ménage a trois, comme j’en ai vu plusieurs; e ne segue la rovina. Respirai. Il romanzo era fatto.
Detto questo, aperse un cassetto, prese un fascio di manoscritti e me li mise sotto gli occhi.
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