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      La gran casa del Marescot era tracciata minutissimamente; tutto l’ultimo piano; i pianerottoli, le finestre, lo stambugio del becchino, la buca di père Bru, tutti quei corridori lugubri, in cui si sentiva un souffle de crevaison, quei muri che risonavano come pancie vuote, quelle porte da cui usciva una perpetua musica di legnate e di strilli di mioches morti di fame. C’era pure la pianta della bottega di Gervaise, stanza per stanza, coll’indicazione dei letti e delle tavole, in alcuni punti cancellata e corretta. Si vedeva che lo Zola ci s’era divertito per ore e per ore, dimenticando forse anche il romanzo, tutto immerso nella sua finzione, come in un proprio ricordo.
      Su altri fogli c’erano appunti di vario genere. Ne notai due principalmente: – venti pagine di descrizione della tal cosa, – dodici pagine di descrizione della tal scena, da dividersi in tre parti. – Si capisce che aveva la descrizione in capo, formulata prima d’essere fatta, e che se la sentiva sonar dentro cadenzata e misurata, come un’arietta a cui dovesse ancora trovare le parole. Son meno rare di quello che si pensi, queste maniere di lavorare, anche in cose d’immaginazione, col compasso. Lo Zola è un grande meccanico. Si vede come le sue descrizioni procedono simmetricamente, a riprese, separate qualche volta da una specie d’intercalare, messo là perchè il lettore ripigli rifiato, e divise in parti quasi uguali;come quella dei fiori del parco nella Faute de l’abbé Mouret, quella del temporale nella Page d’amour, quella della morte del Coupeau nell’Assommoir.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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