– Quando scriveva la Page d’amour, diceva: — Farò piangere tutta Parigi. — Difendendo una sua commedia caduta dice: — Perchè è caduta? Perchè il pubblico s’aspettava dall’autore dei Rougon-Macquart una commedia straordinaria, di primissimo ordine; qualcosa di miracoloso. — Ma dice questo con una sicurezza e con una semplicità, che non vien nemmeno in capo di accusarlo di presunzione. E in ciò si rivela appunto la sua natura italiana, meno inverniciata della francese, come si rivela nelle sue critiche, in cui dice le più dure cose senza giri di frase e senza epiteti lenitivi, e paccia le pillole amare senza dorarle; cosa che ripugna all’indole della critica parigina. Ed è italiano anche in questo, che ha la nostra causticità genuina, consistente più nella cosa che nella parola, e non il vero spirito francese. E lo riconosce e se ne vanta. — Je n’ai pas cet entortillement d’esprit. — Je ne sais parler le papotage à la mode. — Io detesto i bons mots e il pubblico li adora. Questa è la grande ragione per cui non ci possiamo intendere.
Accennò pure, di volo, alla gran quistione del realismo e dell’idealismo. Su questo argomento rispetto profondamente le opinioni di uno scrittore come lo Zola. Ma a queste professioni di fede irremovibile e a queste bandiere sventolate con tanto furore, ci credo poco. Uno scrittore si trova a scrivere in una data maniera perchè la sua indole, la sua educazione, le condizioni della sua vita lo spinsero da quella parte. Quando ha fatto per quella via un lungo cammino, quando ha speso in quella forma d’arte un gran tesoro di forze, e v’ha riportato dei trionfi, e s’è persuaso che non andrà mai innanzi altrettanto in una direzione diversa, allora alza la sua insegna e dice: — In hoc signo vinces.
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