E dove s’è mai vista una letteratura più spasimante per il blasone; scrittori che si lascino venire così ingenuamente l’acquolina sulle labbra al suono di un titolo gentilizio, e che mettano più stemmi e più boria aristocratica nelle loro creazioni? Quando ci libereranno dai loro eterni visconti e dalle loro eterne marchese questi ostinati frustasalotti? Non ce n’hanno ancora imbanditi abbastanza di quei loro «protagonisti» nobili, giovani, belli, spiritosi, coraggiosi, spadaccini, irresistibili, che hanno tutti i doni di Dio «même une jolie voix de tènor?» E ghiotti di ciondoli, Dio buono! Quel povero Paul de Kock, che a settantaquattro anni scrive venti pagine per provare che non gl’importa nulla di non aver ricevuto la Legion d’onore, e ha quasi voglia di piangere! E dov’è un altro paese democratico, in cui gli scrittori coprano d’un ridicolo così sanguinosamente ingiurioso intere classi della cittadinanza, dove l’epiteto di bourgeois abbia assunto, in mente di coloro stessi a cui spetta, un significato più aristocraticamente sprezzante, e dove basti un nome, solo perchè ha il suggello plebeo, a far scoppiare dalle risa una platea? Ma cos’è dunque questo bizzarro impasto di contraddizioni, il Parigino? Chi lo sa? Afferratelo; vi sguiscia di mano. Presentategli il bandolo d’una di quelle quistioni in cui si rivela un uomo, ed egli, astutamente, lo rimette in mano a voi con un colpo di mano da prestigiatore. Hanno spirito: ce lo cantano in tutti i tuoni, ed è vero. Ma fino a un certo segno.
| |
Dio Dio Paul Kock Legion Parigino
|