Oh poveri Italiani, com’è conciato, a Parigi, il vostro povero amor proprio! Se non nominate proprio Dante, Michelangelo e Raffaello, per tutto il rimanente non ne caverete altro che un: — Qu’est ce que c’est que ça? Il deputato papista vi domanda se Civitavecchia è rimasta al Papa. Il buon padre di famiglia vede i briganti col fucile a tracolla che fumano tranquillamente un Avana davanti al Caffè d’Europa a Napoli. Il gentiluomo è stato in Italia, senza dubbio; ma per poter causer Italie colla bella signora, nel vano della finestra, dopo desinare; o per appendere il ciondolo Italia, alla catenella delle sue cognizioni, e farlo saltellar nella mano nei momenti d’ozio, con quelle solite formule, che ogni Francese possiede, sul paesaggio, sul quadro e sull’albergo. Il famoso De Forcade diceva del Manzoni, a tavola: — Il a du talent. — Quasi vi domanderebbero: — Ma che proprio si può nascere in Italia? — Quest’idea d’esser nato a Parigi, d’aver avuto questo segno di predilezione da Dio, sta in cima a tutti i pensieri del Parigino, come una stella, che irradia tutta la sua vita d’una consolazione celeste. La benevolenza ch’egli dimostra a tutti gli stranieri, è ispirata in gran parte da un sentimento di commiserazione, e i suoi odii contro di essi non sono profondi, appunto perchè considera i suoi nemici abbastanza puniti dalla sorte, che non li fece nascere dove egli è nato. Perciò adora tutte le fanciullaggini e tutti i vizii della sua città, e ne va superbo, solo perchè sono f
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