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      Ha un minor campo da percorrere, come diceva di sè lo Schiller al Goethe; ma lo percorre perciò in minor tempo in tutte le sue parti. Quindi un inseguirsi e un congiungersi continuo d’idee e di sforzi diretti al medesimo segno, una frequenza grande di attriti da cui esce luce e calore; ogni palmo di spazio disputato da mille contendenti; invece del cammino la corsa, invece della controversia la mischia; e in questa mischia perpetua, buttato via tutto il bagaglio superfluo, tutto fatto arma di offesa e di difesa, sfrondato il pensiero, stretto il linguaggio, precipitata l’azione; arte e vita ugualmente ardite e rapide, e tutto incoraggiato dalla gran voce festiva della grande città, che parla ad acutissime note cristalline, intese da tutta la terra. E più ci s’addentra nello studio di quella vita, più si rimane meravigliati vedendo l’immenso lavoro che si fa sotto quell’apparenza di dissipazione universale; quanti lavoratori sudano nella solitudine; quanti si preparano alla lotta pubblica, nell’oscurità, con incredibili fatiche; come ogni maniera d’ingegno, non solo, ma qualsiasi parzialissima facoltà appena più che mediocre, trovi là il modo d’esercitarsi con vantaggio proprio e comune; come a ogni ingegno si formi subito intorno spontaneamenteun cerchio d’intelligenze colte ed amiche che lo aiutano a estrinsecarsi e a salire; come ogni menoma promessa di riuscita nel campo dell’intelligenza, desti intorno a sè, in tutte le classi della cittadinanza, un sentimento gentile di curiosità e di rispetto, e strappi a tutti quel tributo anticipato di gloria, che concorre mirabilmente a farla diventare realtà; che impulso strapotente sia alle forze umane la certezza dell’improvviso e largo cambiamento di fortuna che produce là il vero «successo»; come sia grande e inebbriante in quella città il trionfo dell’ingegno, che appena salutato da lei, riceve saluti di ammiratori ignoti e offerte e consigli da ogni parte del mondo; come all’uomo caduto sopra una via, rimangano aperte cento altre vie, solo che si rassegni ad abbassare d’un piccolissimo grado le sue pretensioni alla gloria; come la natura obbliosa della grande città, che non lasciando addormentar nessuno sopra un solo trionfo, obbliga tutti a ripresentarsi continuamente alla gara, produca quelle vite meravigliosamente operose, quelle vecchiaie ostinatamente battagliere, il cui esempio mette il furore del lavoro nelle generazioni seguenti; e infine che enorme quantità si ritrovi là di lavoro non finito, di prove, di abbozzi, di materiale sciupato dagli uni, ma non inutile per chi verrà, e di creazioni pregevoli, in tutti i campi, ma condannate a morire dove sorgono, perchè schiacciate dall’abbondanza del meglio.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





Schiller Goethe