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      Dall'esser andato a stare il Boscan a Granata, quando v'era la Corte di Carlo V, e aver conosciuto là un ambasciatore della repubblica di Venezia, Andrea Navagero, che sapeva a memoria i versi del Petrarca, e glieli recitava, e gli diceva:-Mi pare che potreste scriver così anche voialtri; provate!-Il Boscan provò; tutti i letterati di Spagna gli gridaron la croce addosso. E che il verso italiano non sonava, e che la poesia di Petrarca era una sdolcinatura da femminette, e che la Spagna non aveva bisogno di strascicar l'estro sulla falsariga di nessuno. Ma il Boscan tenne duro: Garcilaso della Vega, il valoroso[27] cavaliere, amico suo, che ricevette poi il glorioso titolo di Malherbe della Spagna, lo seguì; il drappello dei riformatori s'ingrossò a poco a poco, divenne esercito, vinse e dominò l'intera letteratura. Il vero consumatore della riforma fu il Garcilaso; ma il Boscan ebbe il merito della prima idea, onde a Barcellona l'onore d'aver dato alla Spagna chi fece mutar il viso alla sua letteratura.
     
      Nei pochi giorni che rimasi a Barcellona, solevo passar la sera con alcuni giovani catalani, passeggiando sulla riva del mare, al lume della luna, fino a notte avanzata. Sapevan tutti un po' d'italiano, ed erano amantissimi della nostra poesia; così che per ore e per ore non si faceva che declamar versi, essi dello Zorilla, dell'Espronceda, del Lopez de Vega, io del Foscolo, del Berchet, del Manzoni; intercalati, con una sorta di gara, a chi ne diceva di più belli. È un sentimento nuovo quello che si prova dicendo versi dei nostri poeti in un paese straniero.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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