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      Quando vedevo i miei amici spagnuoli tutti intenti al racconto della battaglia di Maclodio, a poco a poco scotersi, infiammarsi e poi afferrarmi pel braccio ed esclamare con un accento castigliano che mi rendeva più care le loro parole:-Bello! sublime!;-mi sentivo rimescolare il sangue, tremavo; se fosse stato giorno, credo che m'avrebbero visto diventar bianco come la carta. Mi recitarono dei versi in lingua catalana. E dico lingua, perchè ha una storia e una letteratura propria e non fu relegata allo stato di dialetto[28] che dal predominio politico assunto dalla Castiglia che impose l'idioma suo come idioma generale dello Stato. E benchè sia una lingua aspra, tutta parole tronche, ingrata, sulle prime, a chi abbia nulla nulla l'orecchio delicato, ha nondimeno dei pregi notevolissimi, dei quali i poeti popolari si valsero con ammirabile maestria, prestandosi essa particolarmente all'armonia imitativa. Una poesia, che mi recitarono, di cui le prime strofe imitano il rumore cadenzato d'un treno di strada ferrata, mi strappò un grido di meraviglia. Ma senza spiegazioni, anche per chi conosca la lingua spagnuola, il Catalano non è intelligibile. Parlan presto, coi denti stretti, senza aiutar la voce col gesto, così ch'è difficile cogliere il senso d'un periodo anche semplicissimo, ed è un gran chè se s'intende qualche parola di volo. Anche la gente del popolo, però, parla, quando occorre, il castigliano, stentatamente e senza grazia; ma sempre assai meglio che non si parli l'italiano dal basso popolo delle Provincie settentrionali d'Italia.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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