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      Sulle cime dei colli lontani si vedon rovine di castelli enormi, sormontate da torri tronche, spaccate, corrose, simili a grandi moncherini di giganti prostrati che minaccino ancora.
      A ogni stazione della strada ferrata comprai un giornale; prima d'arrivare a metà viaggio n'avevo un monte: giornali di Madrid e d'Aragona, grandi e piccini, neri e rossi; nessuno, sfortunatamente, amico di Don Amedeo. E dico sfortunatamente, perchè, a legger quei giornali, c'era da cadere in tentazione[74] di voltar le spalle a Madrid e tornarsene a casa. Dalla prima all'ultima colonna, eran tutt'una sfuriata d'ingiurie, d'imprecazioni e di minaccie contro l'Italia: corna del nostro Re, roba da chiodi dei nostri ministri, ira di Dio del nostro esercito; tutto fondato sulla voce, che allora correva, d'una prossima guerra, nella quale l'Italia e la Germania alleate si sarebbero gettate sulla Francia e sulla Spagna, per distruggervi il Cattolicismo, nemico eterno di tutt'e due, e mettere sul trono di San Luigi il Duca di Genova, e assicurare il trono di Filippo II al Duca d'Aosta. Erano minaccie nell'articolo di fondo, minaccie nell'appendice, minaccie nelle notizie, in prosa, in versi, con figurine, con lettere cubitali, con lunghe righe di puntini; dialoghi tra il padre e il figlio, l'uno da Roma, e l'altro da Madrid, questi che domandava: "Che cosa ho da fare?" quello che rispondeva: "Fucila!" di tratto in tratto un: "Vengano! siamo pronti! siamo sempre la Spagna del 1808; i vincitori degli eserciti napoleonici non hanno paura nè del muso degli Ulani di re Guglielmo, nè del gridío dei Bersaglieri di Vittorio Emanuele.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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