Ma è un orgoglio che non offende, un orgoglio innocentemente rettorico. Non deprimon già le altre nazioni per parer alla volta loro più alti; no; le rispettano, le lodano, le ammirano, ma lasciando però trasparire il sentimento di una superiorità che, nel concetto loro, ritrae appunto da quell'ammirazione, una luminosa evidenza. Sono, per le altre nazioni, benevoli di quella benevolenza che il Leopardi dice giustamente essere propria degli uomini pieni del concetto di se medesimi; i quali, credendosi ammirati da tutti, amano i loro creduti ammiratori, anche perchè giudicano ciò conveniente[242] a quella maggioranza onde stimano che la sorte gli abbia favoriti. Non può esservi stato al mondo un popolo più fiero della sua storia che il popolo spagnuolo. È una cosa incredibile. Il ragazzo che vi lustra gli stivali, il facchino che vi porta la valigia, il mendicante che vi chiede l'elemosina, alzan la testa e mandan lampi dagli occhi al nome di Carlo V, di Filippo II, di Ferdinando Cortes, di Don Giovanni d'Austria, come se fossero eroi del loro tempo, e li avesser veduti il giorno prima entrare trionfalmente nella città. Si pronuncia il nome di España coll'accento col quale dovevan pronunciar Roma i Romani a' tempi più gloriosi della repubblica. Quando si parla della Spagna, è bandita anche la modestia, dagli uomini naturalmente più modesti, senza che sul loro viso appaia il menomo indizio di quell'esaltamento a cui si condona l'intemperanza del linguaggio. Si inneggia a freddo, per uso, senza accorgersene.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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