Eravamo arrivati a Aranjuez. Discesi dal treno, infilai un bel viale ombreggiato da due file di alberi giganteschi, e mi trovai dopo pochi passi in faccia al palazzo reale.[252]Il ministro Castelar scrisse pochi giorni sono nel suo memorandum che la caduta dell'antica monarchia spagnuola fu predestinata il giorno che una turba di popolo colle ingiurie sulle labbra e l'ira nel cuore invase il palazzo d'Aranjuez per turbare la tranquilla maestà dei suoi Sovrani. Io ero appunto su quella piazza dove il 17 marzo del 1808 seguirono gli avvenimenti che furono il prologo della guerra nazionale, e come la prima parola della sentenza che condannò a morte l'antica Monarchia. Cercai subito cogli occhi le finestre dell'appartamento del Principe della Pace; me lo raffigurai quando fuggiva di sala in sala, pallido e scapigliato, in cerca d'un nascondiglio, all'eco delle grida della moltitudine che saliva le scale; vidi il povero Carlo IV deporre colle mani tremanti la corona di Spagna sulla testa del Principe delle Asturie; tutte le scene di quel terribile dramma mi si presentarono dinanzi agli occhi; e il silenzio profondo del luogo, e la vista di quel palazzo chiuso e abbandonato, mi misero freddo al cuore.
Il palazzo ha la forma d'un castello; è fabbricato di mattoni, con contorni di pietra bianca, e coperto di un tetto d'ardesia. Tutti sanno che lo fece costruire Filippo II dal celebre architetto Herrera, e che quasi tutti i re successivi lo abbellirono, e vi soggiornarono nella stagione estiva.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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