L'indomani partii per Siviglia. Alla stazione vidi Frascuelo, Lagartijo, il Cuco, e tutta la compagnia dei toreros di Madrid, che mi salutarono con uno sguardo benevolo di protezione. Mi cacciai in un vagone polveroso, e quando il treno si mosse, e Cordova apparve ai miei occhi per l'ultima volta, la salutai coi versi del poeta arabo, un po' troppo sensuali, se si vuole, per il gusto d'un europeo; ma, in fin dei conti, adatti all'occasione:
Addio, Cordova! Per vivere sempre fra le tue mura, vorrei far vita più lunga di Noè. Vorrei avere i tesori di Faraone per spenderli in vino e in belle Cordovesi, dagli occhi soavi, che invitano ai baci.
[325]NOTE:
[3] Fece.
[4] Stellato.
[5] Conseguì.
[6] Venne.
IX.
SIVIGLIA.
Il viaggio da Cordova a Siviglia non desta la meraviglia come quello da Toledo a Cordova; ma è pur bello ancora; sono sempre quei boschi di aranci, quegli oliveti sconfinati, quei colli vestiti di pampini, quei prati coperti di fiori. A poche miglia da Cordova si vedon le torri diroccate del formidabile castello di Almodovar, posto sur una roccia altissima, che domina un immenso spazio all'intorno; a Hornachuelos, un altro vecchio castello sulla sommità d'una collina, in mezzo un paesaggio solitario e melanconico; più oltre la bianca città di Palma, nascosta in un foltissimo bosco d'aranci, cinto alla sua volta da una corona di orti e di giardini; e via via si trascorre in mezzo a campi biondeggianti di grano, fiancheggiati da lunghissime siepi di fichi d'India, da filari di piccole palme, da boschetti di pini, da folte piantagioni di alberi fruttiferi; e ad ogni tratto si vedon colli e castelli e torrenti e svelti campanili di villaggi celati tra gli alberi, e cime azzurre di monti lontani.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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