È vero! È vero!-e mi misi a piangere come un bambino.
Il Sant'Antonio di Padova mi fece riprovare la commozione di quella sera. Il santo è inginocchiato in mezzo alla sua cella: il bambino Gesù, circonfuso d'una luce bionda e vaporosa, attirato dalla forza della preghiera, scende fra le sue braccia; Sant'Antonio, rapito in estasi, si slancia con tutto il suo corpo e tutta la sua anima verso di lui, rovesciando indietro la sua testa raggiante in uno spasimo di voluttà sovrumana. Tale fu la scossa che mi diede questo quadro, che pochi minuti di contemplazione mi lasciarono stanco come se avessi percorso un grande Museo; e mi prese un tremito che mi durò per tutto il tempo ch'io rimasi in quella sala. Vidi in seguito gli altri grandi quadri del Murillo: una Concezione, un San Francesco che abbraccia Cristo, un'altra Visione di Sant'Antonio, ed altri che non son meno di venti, tra i quali la incantevole e famosa Vergine della Servietta, dipinta dal Murillo sur una servietta vera, nel Convento de' Cappuccini di Siviglia, per soddisfare un desiderio del laico che lo serviva: una delle sue più delicate creazioni, nella quale profuse tutta la magia dei suoi inimitabili colori; ma nessuno di questi quadri che pur sono oggetto di meraviglia a tutti gli artisti del mondo, staccò il mio pensiero e il mio cuore da quel divino Sant'Antonio.[356]V'hanno pure in quel Museo quadri dei due Herrera, del Pacheco, di Alfonso Cano, di Paolo di Cespedes, del Valdes, del Mulato, che fu servitore del Murillo e ne imitò abilmente la maniera; e infine il famoso gran quadro l'Apoteosi di San Tommaso d'Aquino di Francesco Zurbaran, uno dei più eminenti artisti del secolo decimosettimo, soprannominato il Caravaggio spagnuolo, forse superiore a questi nella verità e nel sentimento morale, naturalista possente, colorista vigoroso, inimitabile rappresentatore di frati austeri, di santi macerati, di eremiti pensosi, di sacerdoti terribili; e poeta insuperato della penitenza, della solitudine, della meditazione.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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