A qualche miglio da Siviglia, incontrammo tre bastimenti a vapore a breve distanza l'un dall'altro. Il primo ci venne addosso all'improvviso, in una giravolta del fiume, cosė che io, non esperto di quella maniera di navigazione, temetti un momento che non si fosse pių in tempo ad evitare lo scontro. I due bastimenti si passaron vicini quasi da toccarsi, e i passeggieri dell'uno e dell'altro si salutarono e si gettaron sigari e aranci, incaricandosi a vicenda di portare un saluto a Cadice e a Siviglia.
I miei compagni di viaggio eran quasi tutti Andalusi; cosė che dopo un'ora di conversazione, io li conosceva dal primo all'ultimo, nč pių nč meno che se fossero stati tutti miei amici d'infanzia. Ognuno[373] disse subito a chi lo voleva e a chi non lo voleva sapere, chi egli era, quant'anni aveva, che cosa faceva, dove andava, e qualcuno anche quante amanti aveva avute e quante pecetas portava nella borsa. Io fui preso per un cantante, e non č strano per chi pensi che in Spagna il popolo crede che tre quarti degl'Italiani campino cantando o ballando o recitando. Un signore, vedendo che avevo un libro italiano tra le mani, mi domandō di punto in bianco:
Dove ha lasciato la compagnia?
Qual compagnia?
domandai io.
O che lei non cantava colla Fricci al teatro della Zarzuela?
Mi spiace; ma io non ho mai messo piede sul teatro.
To'; allora bisogna dire che il secondo tenore e lei si rassomigliano come due goccie d'acqua.
Bisogna dir cosė.
Scusi, sa.
Non c'č di che.
Ma lei č italiano?
Italiano.
Canta?
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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