Con tutto questo, Cadice non arieggia nemmeno alla lontana le altre città andaluse. Le sue strade sono lunghe e diritte, e le case alte, e senza i patios di Cordova e di Siviglia. Ma per questo l'aspetto della città non riesce men nuovo e gradevole agli occhi dello straniero. Le strade sono diritte, ma strette, e poichè sono anche lunghissime, e molte attraversano tutta la città, così vi si vede in fondo, come per lo spiraglio d'una porta, una sottilissima lista di cielo, che fa parer quasi che la città sia costrutta[381] sulla sommità d'una montagna tagliata a picco da tutte le parti. Inoltre, le case hanno un gran numero di finestre, e ogni finestra è munita, come a Burgos, d'una specie di vetrina sporgente che s'appoggia su quella della finestra di sopra e sorregge quella della finestra di sotto; così che in molte strade le case sono completamente coperte di vetro, e si vede appena qualche tratto di muro, e par di passare in un corridoio d'un immenso Museo. Qua e là, fra una casa e l'altra, sporgono i rami eleganti d'una palma; in ogni piazza v'è un mucchio lussureggiante di verzura; su tutte le finestre ciuffi d'erbe e ciocche di fiori.
In verità, io ero ben lontano dall'immaginare che fosse così gaia e ridente questa terribile e sventurata Cadice, arsa dagl'Inglesi nel secolo decimosesto, bombardata sulla fine del decimottavo, devastata dalla peste, e poi ospite delle flotte di Trafalgar, sede della giunta rivoluzionaria durante la guerra dell'Indipendenza, teatro di stragi orrende nella rivoluzione del 1820, bersaglio delle bombe francesi nel 1823, e antesignana della rivoluzione che sbalzò dal trono i Borboni, e sempre inquieta e turbolenta e prima fra tutte a lanciare il grido della battaglia.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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