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      -E mormorava queste parole con accento sconsolato, e ricordando la casa dei miei padri, alzava gli occhi melanconici al cielo.[403]Qual'č la tua magia, il tuo ineffabile incanto, o patria, o dolce nome, che ci sei tanto caro! Il nero Affricano, lungi dal suo deserto nativo, guarda con doloroso sdegno i campi verdeggianti; il rozzo Lappone, rapito alla sua terra materna, sospira le notti perpetue e il perpetuo gelo; ed io, io cui la sorte benigna concesse di nascere e di crescere nel tuo beato grembo, benedetto di tanti doni da Dio, io, lontano da te, avrei potuto dimenticarti, Granata?
      Arrivai a Granata, era buio fitto, non vidi neanco il profilo d'una casa. Una diligenza, tirata da due cavalli
      ....... anzi due cavalletteDi quelle di Mosč lą dell'Egitto"
      mi sbarcņ in un albergo, dove dovetti aspettare un'ora che mi si facesse il letto, e finalmente, poco prima delle tre della mattina, potei metter la testa sul guanciale. Ma le mie disgrazie non eran finite. Quando cominciavo a pigliar sonno, sentii un mormorio indistinto nella stanza accanto, e poi una voce maschile che disse chiaramente:-Oh che piedino!-Chi ha viscere di umanitą, giudichi. Il guanciale era un po' scucito, tirai fuori due bioccoli di lana, me li cacciai nelle orecchie e riandando col pensiero le traversie del mio viaggio m'addormentai del sonno dei disperati.
     
      La mattina per tempo uscii e passeggiai per le strade di Granata fin che fosse un'ora decente per[404] andar a trar fuor di casa un giovane granatino che avevo conosciuto a Madrid, in casa di Fernandez Guerra, di nome Gongora, figliuolo d'un archeologo illustre, e discendente del famoso poeta cordovese Luigi Gongora; di cui dissi qualcosa di volo.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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