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      Il soffitto che s'eleva ad una grande altezza, è composto di pezzuoli di legno di cedro, bianchi, dorati e azzurri, commessi insieme, in forma di cerchi, di stelle e di corone; e forma tante volticine e cellule e finestrette centinate dalle quali scende una vaga luce, e dalla cornice che congiunge il soffitto alle pareti, pendono pezzi di stucco faccettati e ricamati a modo di stallattiti e di ciocche di fiori. Il trono era posto nella[415] finestra di mezzo del lato opposto alla porta d'entrata. Dalle finestre di questo lato si gode la stupenda vista della valle del Dauro, profonda e silenziosa, come se anch'essa sentisse il fascino della maestà dell'Alhambra; dalle finestre degli altri due lati, si vedon le mura di cinta e le torri della fortezza; e dalla parte dell'entrata, in lontananza, gli archi leggeri del cortile dei mirti, e le acque della vasca che riflettono l'azzurro del cielo.
      Ebbene,
      mi domandò il Gongora, "valeva la pena di sognare l'Alhambra per trecentosessantacinque notti?"
      È strano,
      gli risposi; "quello che mi passa per la testa in questo momento. Quel cortile come lo si vede di qui, questa sala, queste finestre, questi colori, tutto quello che mi circonda, mi pare che non mi riesca nuovo; mi par che risponda a una immagine che avevo in capo, non so da quando, non so come, confusa in mezzo a mille altre, forse nata in un sogno, che so io! Quando avevo sedici anni, ed ero innamorato, e guardandoci fissi negli occhi, io e quella bambina, soli, in un giardino, all'ombra d'un capanno, ci lasciavamo sfuggire, senza accorgercene, un grido di gioia, che ci rimescolava il sangue come se fosse uscito dalla bocca d'una terza persona che avesse scoperto il nostro segreto; ebbene, allora io desideravo spesso di essere un re e di avere una reggia; ma nel dar forma a quel desiderio, la mia immaginazione non si arrestava mai nelle grandi reggie dorate dei nostri paesi, e volava in terre lontane,[416] e là, sulla cima di un'altissima montagna, si fabbricava una reggia a modo suo, nella quale ogni cosa era gentile e piccino, e illuminato d'una luce misteriosa; e si vedevan lunghe fughe di sale decorate di mille ornamenti capricciosi e delicati, con finestre alle quali avremmo potuto affacciarci solamente noi due, e piccole colonne dietro cui quella bambina avrebbe appena potuto nascondere il viso per farmi uno scherzo amoroso, quando avesse sentito avvicinarsi il mio passo di sala in sala, o suonar la mia voce in mezzo al mormorio delle fontane del giardino.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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