È vero!
rispose il mio amico; "ma che cosa dirà quando avrà visto il cortile dei Leoni! Venga! corriamo!"
Uscimmo a rapidi passi dalla torre, attraversammo il cortile dei mirti, e giungemmo davanti a una porticina posta di fronte a quella d'entrata.
Si fermi!
mi gridò il Gongora.
Mi fermai.
Mi faccia un favore.
Cento.
Un solo: chiuda gli occhi e non li apra che quando glielo dirò io.
Eccoli chiusi.
Ma badi che ci tengo; se li apre, m'inquieto!
Non dubiti!
Il Gongora mi pigliò per mano e mi condusse innanzi: tremavo come una foglia.[418]Facemmo forse una quindicina di passi e ci arrestammo. Il Gongora disse con voce commossa:-Guardi!-Guardai, e lo giuro sul capo dei miei lettori: mi sentii scorrere due lagrime giù per le guancie.
Eravamo nel cortile dei Leoni.
Se in quello stesso momento m'avessero fatto uscire per dove ero entrato, non so se avrei saputo dire quello che avevo visto. Una foresta di colonne, un visibilio d'archi e di ricami, un'eleganza indefinibile, una delicatezza inimmaginabile, una ricchezza prodigiosa, un non so che di aereo, di trasparente, di ondeggiante, come un gran padiglione di trina; un'apparenza quasi d'un edifizio che si debba dissolvere con un soffio, una varietà di luci, di prospetti, di oscurità misteriose, una confusione, un disordine capriccioso di cose piccine, una maestà di reggia, una gaiezza di chiosco, una grazia amorosa, una stravaganza, una delizia, una fantasia di fanciulla appassionata, un sogno d'un angelo, una follia, una cosa senza nome; tale è il primo effetto del cortile dei Leoni.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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